sabato 17 aprile 2010

E poi la notte finí di colpo, come finisce la musica quando vorremmo che durasse per sempre.
Come finiscono le cose belle, all’improvviso, lasciandoci sconcertati.
Le cose brutte finiscono, anche, ma piú poco a poco, con esasperata lentezza, non fosse che ci dimentichiamo di loro.

La notte finí di colpo mentre camminavamo sul ciottolato del Barrio Gotico, il tuo braccio intrecciato nel mio, due puntini di luce nel nero pece della cittá.

La notte finí e te ne andavi, e io non volevo.
Te ne andavi a casa, e io non ne capivo il senso. Io che non ho niente che possa chiamare casa, mi sentivo a casa proprio lí, sul ciottolato del Barrio Gotico, col tuo braccio intrecciato nel mio e il tuo sorriso trasparente.

Avessi avuto un po’ piú di coraggio ti avrei detto: Non te ne andare.
Ti avrei detto: Resta qui con me, col tuo braccio intrecciato nel mio, o se vuoi portami via con te.
Ti avrei detto: Andiamo in spiaggia adesso che il sole sorge, possiamo pucciare i piedi nell’acqua come fanno i gatti e lanciare gridolini per il freddo. Possiamo fare il bagno vestite.
Possiamo prendere uno zaino e scendere in strada, per il mondo, e vedere tutte le porte della vita aprirsi per noi, tutti i cammini possibili srotolarsi come tappeti rossi al nostro passaggio.
Ti avrei detto: Non te ne andare.

E invece non ce l’avevo, un po’ piú di coraggio.
Non avevo coraggio e rimasi zitta, e tu mi abbracciasti e io ti strinsi un po’ piú forte del normale, e nascosi il viso sulla tua pelle bianca, nell’incavo del collo, e la tua mano si appoggió sulla mia nuca. Allora cercai di dirti tutte quelle cose che ti avrei detto senza parlare, trasmettendotele attraverso il contatto del mio corpo con il tuo corpo, per osmosi. E forse ci riuscii perchè dopo chissá quante ore ti staccasti da me e mi guardasti, e nei tuoi occhi lessi una domanda: Davvero?

E ti dissi: Sí.
Sí, cosa?
Sí, davvero.
Sí davvero, cosa?
Niente.
Sei pazza.
Lo so.

E ridesti. E l’oceano intero si fece spazio nella mia anima.

E allora te ne andasti a casa, obbligandomi a mia volta a tornare alla mia non-casa.
Stava rischiarando e l’aria era fresca e sorrisi al vento, in questa primavera che tardava ad arrivare.


........................



È rassicurante come l’abbraccio caldo di una madre dopo aver pianto
La certezza che esisti, e che sei viva
E che sei carne e pelle e capelli
E voce
E silenzi
E fiato.

mercoledì 14 aprile 2010

Il caffé.

Mi sono messa a dieta.

Via il cioccolato, l’unica cosa al mondo che ancora riesce a farmi perdere il controllo, via anche quando ho il ciclo o quando non faccio sesso per piú di tre settimane consecutive e mi sbranerei l’intera fabbrica di Willy Wonka.

Via.

Via i fritti, che tanto non mi sono mai piaciuti. Li evito con piacere.

Via tutto quello che fa male.
Tutto, ma il caffé, non ce la faccio.

Il caffé, no.

Non sono in stato di dipendenza da nessuna droga, sostanza alcolica, persona o divinitá.
Non mi interessa bere fino al coma etilico “perchè è cosí che ci si diverte”. Se mi capita di fare uso di qualche sostanza è per curiositá e non per necessitá.
Non mi interessa il dio barbuto dei cristiani, che tira a sorte chi punire seduto alla sua bella scrivania bianca. Non mi interessa la chiesa cattolica, nè nessun’altra istituzione religiosa mondialmente riconosciuta. Nessuna setta new-age del cazzo, nè satana, e men che meno il governo.

Via l’alcol, dio e la politica.

Non ho una guida spirituale, un idolo, un maestro, un esempio a seguire.

Non credo piú nel lieto fine, nella giustizia che trionfa, nel vedrai che il tempo sistema le cose, nel vissero tutti felici e contenti. Figuriamoci poi se credo nella gran stronzata del lavoro-nobilita-l’uomo.
Via le sciocche belle illusioni.

Non mi fido piú dell’amore.
Non mi fido piú dei valori sani e dei sani principi.
Non mi fido piú delle buone intenzioni.
Della morale, non mi sono mai fidata.

Gli intellettuali mi stanno sul cazzo, come mi stanno sul cazzo gli artisti e quelli che sbandierano a destra e a manca la propria sbalorditiva cultura musicale, cinematografica, letteraria. La cultura come strumento di divisione classista mi da il voltastomaco ancora piú dei soldi, che per lo meno servono a qualcosa, ad esempio a non farsi sbattere fuori di casa a fine mese.
E l’arte, che cos’è l’arte? L’arte non esiste. Sotto il suo travestimento ben riuscito da puttanella intrigante, si nascondono -secondo il caso- o l’incapacitá di stare al mondo o la sete di soldi-potere-gloria.
Via la cultura e via pure l’arte, via.

Non ho un cammino da compiere, una strada da percorrere, un obiettivo da portare a termine, un sogno da realizzare, uno scopo per cui lottare, una causa da onorare, una ragione per sperare.

Non seguo piú nemmeno il calcio.

Non – ho – niente – e – non – ho – nessuno.


Ho solo il caffé.

Non toglietemi il caffé.
Non chiedo altro.

sabato 3 aprile 2010

Descompresión (ahora sí, de verdad)

En los Caños de Meca no hay nada. Casi nada.
No hay nadie, o justo el número de personas suficientes para que no esté todo cerrado.
Intuyo que esto en verano tiene que ser insoportable, pero ahora es perfecto.

El pueblo (una calle) es feo y sin más interés, pero las playas son para quedarse sin respiro.

Paso mi tiempo leyendo, durmiendo, paseando.
Escribo algo, saco alguna foto. Sin estresarme.

Así pasan cuatro días.

Sábado a la mañana vuelvo para Málaga. Sólo hay un bus diario que conecta el pueblo a la carretera principal donde pasaría mi autobus (unos quince, veinte km). Y es a la una del mediodía, varias horas después del Cádiz-Málaga.

Me toca llamar un taxi. Y es mi mejor despedida: el taxista, un señor carabueno, barrigudo de pelo blanco y ojos celestes, me invita a un café con leche en el bareto de la parada, y se espera conmigo a que llegue el bus.



Gracias, Dios, o Madre Tierra, o Vida, o Casualidad: Gracias por el Profundo Zur.

Día dos todavía, por la noche.

Plaza de la Merced.

¡Qué hermosos son los gitanos!
Estas matronas inmensas, vestidas de flores, de pelo largo, negrísimo y grasiento.
Estos hombres bigotudos, estas caras arrugadas, estas pieles maltratadas por el sol y el viento del sur, estas sonrisas blancas a pesar del tabaco.
Esta felicidad de vivir, este gracias por ser vivos que se expresa a través de una guitarra, de unas voces, de unas manos, de unos piés.

¡Qué hermosos son los gitanos!