Dal tre febbraio duemilanove, giorno in cui incontrai mio padre all'aeroporto Internazionale Ministro Pistarini, a.k.a. Ezeiza, in Buenos Aires, non sono piú riuscita a scrivere niente.
La solitudine è l'unico stato nel quale riesco a trovare lo spazio -e il tempo- affinchè i pensieri mi si condensino nel cervello come goccioline d'umiditá, abbondanti e ingombranti fino a creare un nuvolone denso pronto a scrosciare, da un momento all'altro, in un diluvio di parole.
Inoltre, a partire da quel giorno, ho speso la maggior parte delle mie energie in discussioni senza via d'uscita, troppe energie sprecate per poter stiparne una piccola riserva da dedicare alla scrittura.
Ho insistito tanto per convincere mio padre a raggiungermi, e so che nonostante tutto non me ne pentiró. Nonostante tutto.
I primi giorni, com'è naturale, sono stati i piú difficili. Mai nella mia vita, nemmeno da bambina, ho passato insieme a mio padre tante ore di fila.
E dopo tre anni di vita indipendente, e dopo questi mesi di viaggio che mi hanno ulteriormente randagizzata, dover tornare a relazionarmi in modo normale con una persona -e non una persona qualunque: mio padre, uno dei pilastri della mia vita- è stata dura.
Eppure, quando non stiamo litigando, non mancano i momenti divertenti. Le persone che incontriamo e con cui scambiamo qualche chiacchiera lo prendono -a causa dell'accento- per argentino, e a me per spagnola, e quando chiariamo e spieghiamo com'è la storia quasi non ci credono.
Tutti, senza eccezioni, si meravigliano al sentirlo parlare, perchè dopo quarant'anni lontano da Buenos Aires parla ancora un porteño perfetto. Tutti gli fanno i complimenti, e lui si inorgoglisce tutto, e io muoio per la tenerezza.
Probabilmente entrambi ci renderemo conto dell'importanza di questo viaggio insieme, e di quanto questo viaggio ci stia regalando, solo quando saremo lontani.
L'amore, anche se è tanto, non sempre parla la stessa lingua, e mio padre e io non siamo mai stati capaci -e con il tempo siamo peggiorati, teste dure- di capirci, nè di farci capire l'un l'altro.
giovedì 26 febbraio 2009
venerdì 13 febbraio 2009
De vuelta a Montevideo - las llamadas.
martedì 10 febbraio 2009
Notte e pensieri a Montevideo.
Sono un cane sciolto.
E senza piú catene
Faccio fatica a riallacciarmi alle vostre idee.
Al vostro modo di non-vivere,
Alla paura di rischiare,
All'incertezza sul domani,
Alla mancanza di slancio,
Alla perdita di entusiasmo.
Al terrorismo della disinformazione,
Alle manovre dei vostri politici.
Agli ordini dei vostri padroni.
Chi l'ha detto, chi l'ha deciso?
Vi circondate di cose
Di cose belle
Di tante, innumerevoli cose preziose
E avete paura
Paura che vi portino via le vostre cose.
E nel frattempo avete dimenticato l'essenziale:
Essere Vivi.
Essere un corpo, essere carne,
Essere pelle e sangue e acqua e desideri.
Essere Vivi.
Nel frattempo avete dimenticato di vivere.
E senza piú catene
Faccio fatica a riallacciarmi alle vostre idee.
Al vostro modo di non-vivere,
Alla paura di rischiare,
All'incertezza sul domani,
Alla mancanza di slancio,
Alla perdita di entusiasmo.
Al terrorismo della disinformazione,
Alle manovre dei vostri politici.
Agli ordini dei vostri padroni.
Chi l'ha detto, chi l'ha deciso?
Vi circondate di cose
Di cose belle
Di tante, innumerevoli cose preziose
E avete paura
Paura che vi portino via le vostre cose.
E nel frattempo avete dimenticato l'essenziale:
Essere Vivi.
Essere un corpo, essere carne,
Essere pelle e sangue e acqua e desideri.
Essere Vivi.
Nel frattempo avete dimenticato di vivere.
Iguazú.
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