venerdì 9 dicembre 2011

Bajo una luz diferente



Vengo explorando un rincón extraño 
que se ha hecho hueco aquí dentro, y muy bien no sé 
como manejarme a mi misma
porque no me suena de nada todo lo que estoy sintiendo.
Como entrar en una calle por la que he andado mil veces y de repente 
descubrirla bajo una luz diferente
y sorprenderme, desorientada, fijándome en detalles que no creía que existieran.

y que no sé si me gustan o no.

Sigo viendo fantasmas, los mismos de siempre
más alguno nuevo que acaba de llegar
ni espero que dejen de acompañarme algún día
pues ya hacen parte del encuadre
y no son más que silenciosos desconocidos - muy bien conocidos 
paseándose por el barrio gótico de noche
y ya consigo mirarles sin terror.
ya consigo mirarles sonriendo.

y ya casi no le tengo miedo a nada
ni a nada le tengo ganas
ni nada me apasiona.
porque ya todo me parece tan lejos, tan sin sentido
ya todo me parece algo más de lo mismo.



Soundtrack: Bob Dylan, Chimes of Freedom


(Carrer del Bisbe, Barri Gòtic, Barcelona)


mercoledì 30 novembre 2011

Alla fine del buio





Addentrarsi in una strada scura
forse vale la pena, a volte:
solo
bisognerà imparare a capire dove essa porta.



Soundtrack: Radiohead, No Surprises


(Carrer dels Mirallers, el Born, Barcelona)


domenica 27 novembre 2011

No need for a Television






I prefer to get out to the streets.
El Barrio has got much more stories to tell.



Soundtrack: The Smiths, There is a light that never goes out


(Carrer dels Tiradors, el Born, Barcelona)



giovedì 10 novembre 2011

Adiós, día, adiós.






La noche volverá en breve
echándose encima de la ciudad
sin paracaídas
frotando sus pechos contra el vientre de los rascacielos
envolviendo en su negra humedad a toda la gente y a sus pequeños pensamientos cotidianos.
Otro día más he sobrevivido a los monstruos de mi cabeza.
La oscuridad les espanta, y se esconden en mi pelo enredándose en un nudo
y no molestarán hasta mañana. 

Adiós, día, adiós.

A estas alturas suelo pensar que, después de todo, ya estoy curtida
lo suficiente como para saber por donde me llevarán los caminos que voy tomando
y aún así me sigo sorprendiendo de vez en cuando
de no conocer la vía de salida o al notar 
que todavía hay cosas que consiguen herirme.

Supongo que esto quiere decir que sigo viva.



Soundtrack: Nina Simone, Do What You Gotta Do

(Barcelona desde la planta 10 - Maresme/Forum)


giovedì 27 ottobre 2011

Barcellona, un giorno qualunque




Pareva ci fossero due lune appese in cielo
stasera.

Questa è la mia città:
ci tiene a farsi bella 
come una ragazzina al primo appuntamento
e si mostra 
così speciale
persino
nel più normale dei giorni.


(playa de Barceloneta)

lunedì 24 ottobre 2011

Luces y Sombras



Parece que lleve siglos lloviendo.

Y durante todos estos siglos he caminado sola
por las callejuelas desordenadas
oscuras
del barrio
dibujadas algún día por un dios distraído.

he caminado
durante todos estos siglos
con mis tacones desafiando el empedrado resbaladizo,
jugando a mirar mi sombra en los muros.

El mundo se ha vuelto monocromático, de repente.
húmedo de reflejos.
un mundo en tonos sepia.

mi camino se ha ido pintando
de luces y sombras;
pinceladas de gotas de lluvia 

para que yo volviera
pronto
a casa.


(Carrer de la Seca, el Born)

lunedì 17 ottobre 2011

The Perfect Wave





That's it after all,
not much more to say.

I'm still here, standing. Like nothing 
happened.


I'm in the hunt for the big one.

Just waiting
just waiting for the right moment, it will come 
eventually.

Be patient and sharp
and try once more 
to catch and ride

the 
perfect
wave.


(playa de la Nova Mar Bella, Barcelona)
 

sabato 8 ottobre 2011

Dolce Ottobre



Una giornata leggera.
Scivola via passeggiando lentamente.
Con lussuria, come un gatto, mi lascio sfiorare dal sole. Inarco la schiena al tocco sensuale, 
mani sapienti.
Ricevo la carezza con gli occhi socchiusi, il collo inclinato da un lato.
Dio Sole. Io ti amo e tu mi fai l'amore.

Se non fosse per la signora delle castagne, non saprei riconoscere l'autunno.
Grazie, dolce Ottobre, che sei arrivato senza disturbare.


(passeig Joan de Borbó, Barceloneta)


martedì 27 settembre 2011

Hug Me!



Beyond all reason. theory. thought. effort.
shape, colour and kind:

LOVE
is the only thing that matters.


(Forum, Barcelona)



Siesta


Aprender a enfrentarse a la vida
con soberana, descarada indolencia
que el mundo siga dando vueltas, si así le parece,
que la gente siga corriendo: 
yo aquí me quedo, meciéndome en la sombra.


(patio del Museo Reina Sofia, Madrid)

giovedì 22 settembre 2011

Llaves




Estaban a medio colgar, ni dentro ni fuera.
Así las encontró el cerrajero que vino a rescatarme esta noche. Había sido cuestión de un instante: salí con el móvil en una mano y una copia de las llaves en la otra, para dárselas a Judith que me esperaba abajo.
Click, la puerta se cerró en slow motion, y ahí me di cuenta. Click. Mis llaves estaban metidas en la cerradura.

Lo intentamos: intentamos meter la copia y empujar para que la otra saliera del otro lado, intentamos desmontar el bombín, intentamos con mi tarjeta caducada del Cine Renoir, eso que se ve hacer en las pelis con la radiografía. Intentamos con una horquilla. Nada.
Frustradas, bajamos: llamé a uno de los mil números pegados en los marcos de la entrada de la tienda de Emi, llamé a otro y era el mismo de antes, le dije que viniera. ¿Había otra solución?

Y cuando llegó metí la copia en la cerradura para enseñarle cómo se quedaba atascada y no, mágicamente entró y giró, el mecanismo hizo el click más fluido que he escuchado en la vida y la puerta se abrió perfectamente. Él me miró y su mirada me dijo alguna cosa entre "esta tía está loca" y "vaya gilipollas".

Mis llaves estaban así, a medio colgar. Ni dentro ni fuera.

¿Qué habrá pasado en esa media hora? Yo no consigo darme paz. 
Suerte que Judith estaba conmigo y pudo confirmarme que sí, que antes la cerradura estaba de verdad, realmente, a todos los efectos atascada. Suerte, porque si hubiera estado sola, habría dudado seriamente (aún más) de mi salud mental.

mercoledì 21 settembre 2011

Evaporare

Musica.
Ci vorrebbe della musica 
dita lunghe che scivolano sui tasti di un piano a coda
Una colonna sonora alle mie parole stonate.

Ombra allontanati, vai via da me
smetti di azzannarmi alle gambe come una cagna rabbiosa
esci dai miei polmoni che trattengono il respiro:

Non posso 
più 
respirare.

Tra le tue trame fitte ho perso la vista
la strada
e il senso della realtà

e mi sono persa
e mi sono persa, persa
rinchiusa all'interno di me stessa.

Io sono uno specchio rotto.
Frammenti di vetro scheggiati sparsi a terra
che riflettono un'immagine distorta
mi guardo dall'alto ed eccomi, un mostriciattolo che fa le smorfie.

Sono un giocattolo smontato e cerco di ricostruirmi senza il libretto di istruzioni
troppi pezzi avanzano
troppi pezzi, e non so cosa farne

da qualche parte dovranno pure andare
li raccolgo tra le mani e mando giù
bevo tutto di colpo prima di pensarci sul serio
ma il sapore amaro non mi fa dormire
e cerco la porta di casa a tentoni nel buio
perché è notte e non ho voglia di accendere la luce
perché è notte fonda qui, e non ho voglia di accendere la luce.

Ombra che mi accompagni e mi tieni per mano
lascia che io ascolti almeno un po' di musica
dita lunghe che scivolano sui tasti di un piano a coda
per accompagnare queste parole stonate

sarebbe più facile abbandonarmi al sonno
se potessi immaginare finalmente di svanire nella notte
evaporare, soave e fresca come goccioline di umidità 
così leggere che quasi non esistono.




(Soundtrack: Maika Makovski, Disappear)



martedì 7 giugno 2011

Da Zero.

e qualcosa mi dice, in fondo, che siamo molto simili, a volte spaventosamente uguali, al punto che forse, in qualche modo, siamo la stessa persona. sarà per questo che hai deciso di cambiare strada: ci sono troppe cose in me che non tolleri di te stesso e non sopporti di vedertele rinfacciare, riflesse nei miei gesti. anch'io spesso mi sorprendo e rabbrividisco nell'intuire me stessa guardandoti, e sono arrivata addirittura al punto di confonderti con me, di confondere questo sentirmi costantemente sotto accusa: non so più se sei tu ad accusarmi, o se sono io stessa. (più probabilmente io stessa, perché a te, semplicemente, non interessa più).
è come quando da bambina facevo la pipí a letto e mi svegliavo in piena notte, tremante di senso di colpa, e in silenzio andavo in bagno e mi lavavo, cambiavo il pigiama e le lenzuola e mettevo tutto nella cesta dei panni sporchi, sperando ingenuamente che mamma non se ne accorgesse.
il tentativo perenne e faticoso di non deluderti ancora (o non deludermi? a questo punto non so più rispondere), la cura ossessiva delle mie azioni e la certezza, nonostante tutto, che farò, dirò o penserò qualcosa di sbagliato.
come stasera che ha piovuto: l'avevo immaginato vedendo il cielo bianco del mattino, uscendo di casa avevo lasciato la bicicletta e avevo persino messo l'ombrello in borsa -un gesto tutt'altro che naturale in me, segno di estrema consapevolezza di quello che stavo facendo- ma alla fine sono tornata comunque con i piedi completamente bagnati.
ecco dove sta il punto. ci sono cose che non si possono evitare. alcune, molte. che succedono, che io lo voglia o no. che io analizzi, che io rifletta, che io mi vivisezioni non escluderà che succedano lo stesso. il fatto di non poterle impedire non fa di me una persona peggiore. eppure lo so, sono incapace di accettare il mio limite umano. perché è proprio lì dove vedo il tuo dito puntato, senza pietà. ed è il mio dito in realtà, quello che vedo, quello che mi schiaccia, quello che ammacca il mio volermi bene. è il mio dito che appare attraverso di te.
ormai sono stremata. e sono cosciente ora come non mai che per difendermi, per salvarmi, ho il bisogno urgente, animale, di allontanarmi da te (da me) (dalla me che c'è in te), di chiudere il capitolo, di dichiarare l'ennesimo fallimento, di dedicarmi a raccogliere i pezzi sparsi sul pavimento
e cominciare pian piano a ricostruirmi,
ancora una volta
da zero.

domenica 15 maggio 2011

Palabras que se mueren de frío.

Una noche envié a tu casa una caja de zapatos llena de fotos de mi infancia.

¿Qué hiciste con ella?

No sé que decir: cuántas cosas no sé.

Me quedé vacía de palabras ante la lúcida seguridad de tu Nada
las palabras se me escaparon todas de golpe
como pájaros asustados tras un disparo
Las tenía claras en mi cabeza (creo recordar)
pero se huyeron y no fui capaz de acorralarlas
(lo intenté con una rejilla de atrapar mariposas, pero fue inútil)

Así que sigo aquí, pero ya no sé qué hago.

Asistí al nacimiento y a la muerte de tu deseo
tan de prisa que aún me pregunto si no lo habré imaginado
Fue una ceremonia única: nacimiento y muerte a la vez.
Quizás lo viví solamente en uno de mis viajes al mundo paralelo, aquellos que a veces te contaba,
porque me hacía gracia que te rieras un poco de mi
de mi ingenuidad, tal vez: porque tú no crees en nada.

Yo no sé en qué creer: cuántas cosas no sé.

Pero sí sé de mi mano hundida en tu pelo
Y tú hundido en mi
mi mano agarrada a tu pelo, resistiéndose
para no caer del todo al abismo.

Sí sé del tiempo que se suspendía
del tiempo que dejaba de existir fuera de nuestros cuerpos enredados,
como aquel día.

Sí sé de nuestros olores mezclados
mientras respirábamos más hondo
del peso de tu carne, de tus huesos, de tu aliento, de tus ganas
encima de las mías,

balanceándose.

...

Yo celebro
tus labios que acarician,
exploran, consuelan,
hieren

la desnuda Inteligencia que te posee

todas las cosas que sabes y yo no sé.

Pero sobre todo celebro lo que no entiendo
el rincón sombrío
el silencio de tus pensamientos
las razones que se esconden a mis ojos
el cofre cerrado que guarda la clave para descifrarte
la habitación donde no puedo entrar.

Celebro tus inquietudes
el sofisticado mecanismo de tu mente
la obsesión por no dejarte en paz
la búsqueda de una perfección inhumana.

Yo soy humana e imperfecta
perdí las palabras y no sé nada
no tengo llaves para abrir tu puerta

Y tanto frío
me está paralizando.

lunedì 14 marzo 2011

Sulla Punta della Lingua

Eppure c’è qualcosa che mi sfugge.

È la parola sulla punta della lingua, la conclusione logica che non arriva, il passo troppo veloce che mi fa perdere il ritmo del samba. La voce registrata che non riesco a decifrare, la faccia sulla foto che non ricordo a chi appartiene.

Il suono di uno strumento sconosciuto.
Il sogno che ho appena fatto e che è giá sfumato come cenere mentre cercavo di trattenerlo tra le dita.
La lancetta dell’orologio che all’improvviso fa uno scatto all'indietro.
Il deja-vu, il brivido di febbre. La vertigine.

Una porta aperta in fondo al corridoio buio, che non so se voglio oltrepassare.

E davvero non so se voglio
Non so se,

se vale la pena cercare di capire
trovare la parola, tracciare la conclusione, riprendere il ritmo, decriptare la voce, riconoscere la faccia

o se è meglio chiudere gli occhi e perdermi.

giovedì 17 febbraio 2011

The Lovecats

Mis gatos amorosos le tienen miedo a Lovecats, de The Cure. ¿Irónico, no?

Fue esta tarde. Volvía a casa después de un día complicado, que venía después de otro día intenso.

Había tenido visitas en casa, que había llevado anoche a cenar a mi restaurante preferido en Barcelona y en el mundo, donde además (lo descubrimos al llegar) había música jazz en vivo; las dos cosas juntas me hubieran bastado para sentirme feliz y privilegiada y volver a casa con una sonrisa y dormirme pensando que qué bella es la vida. Pero no.

Pasaron cosas.
Pasaron cosas de esas que es mejor no perder el tiempo en explicar, porque no merece la pena dedicarle tanta atención a según que tipo de persona, como no merece la pena llevar a este mismo tipo de persona a mi restaurante preferido en Barcelona (y en el mundo) y encima alojarla en mi casa. (error mío, grave imperdonable error, lo admito, pero lo vi demasiado tarde).

Pasaron cosas y llevaba tres días sin agua caliente, ya que el calentador se declaró en huelga el lunes por la mañana mientras yo estaba justamente masajeandome la cabeza con el champú.

Llevaba tres días duchandome con agua fría y por suerte vino el lampista a echarle un ojo al calentador – sí, comenté por la oficina de mi cita con el lampista, y la reacción unánime fue sonrisita maliciosa, guiño de ojo y disertación casi científica sobre de la figura del lampista en el imaginario de las pelis porno. Luego yo me pregunté, al verlo: si evidentemente, a todas las mujeres existentes sobre esta tierra que viven solas y se les estropea el calentador, les entra en casa un lampista que podría ser una mezcla entre Javier Bardem y Nacho Vidal, ¿porqué entonces el que entró en la mía era más bien una mezcla entre Papa Noel y mi abuelo, vamos, de lo menos sexual que vi en mi vida, si bien (he de reconocer) muy amable?

Pasaron cosas y no tenía agua caliente y vino el lampista y dijo muy probablemente hay que cambiar el calentador (que tiene catorce años, catorce) y llamamos a la dueña y la dueña no parecía muy contenta de tener que sacar dinero para cambiar el calentador para que yo pudiera ducharme con agua caliente.

En fin, un día complicado que llegaba después de otro día intenso. Quería escribir un post de mala leche, un elenco de las cosas que odio, de las personas que odio, de las situaciones que odio.

Encendí el portatil, me hice algo de cenar, tomé un zumito, puse The Cure. Los gatos se me acercaron, discretos, cariñosos, se sentaron en mis piernas ronroneando, tan gentiles, suaves, bonitos, y la música y el quesito y el zumo, y mis gatos gorditos, todo este amor hizo que se me borrara el discurso que tenía preparado en mi cabeza. Cerré el portatil.

Y ahí fue cuando sonó Lovecats. No sé porque, tuvo que ser el ruidito del principio, ¿cómo se le podría describir? Un silbadito, un tin-tin, un chin-chin, este ruido, ¡este! les aterrorizó, y saltaron de repente y se escondieron volando detrás de la mesa. Los dos. Al mismo tiempo. Y desde detrás de la pata de la mesa, miraban el equipo de sonido, como si de él salieran demonios. Y todo esto durante los 3'39'' completos de Lovecats. La canción terminó, se esperaron unos segundos a ver por si a caso volvían los demonios, y cuando vieron que los demonios ya se habían ido definitivamente, volvieron a acurrucarse en mis piernas.

Me quedé tan chocada que abrí el portatil de vuelta. Para escribir que mis gatos amorosos le tienen miedo a Lovecats. Irónico, ¿no?

giovedì 20 gennaio 2011

Entre Barcelona y Bruselas.

Vane ha vuelto.
La vi el lunes. Después de un año.
Vino a mi casa a buscar las llaves de Luz.


Vino, y yo estaba apuradísima, me tenía que ir al aeropuerto, había comido un kebab volando (un kebab! yo no puedo comer kebab, me hace daño y además Aintzane me va a regañar en cuanto se entere) tenía que terminar de controlar que estuviera todo listo, que la casa estuviera en orden, que los gatos tuvieran todo lo necesario para estar cuatro días sin mi - y fue ahi cuando al apuro se le añadió el sentido de culpabilidad: por dejar a los gatos solos cuatro días, por no tener suficiente tiempo para charlar a gusto con Vane, por comer un kebab, y el sentido de culpabilidad por una cosa llamaba el sentido de culpabilidad por otra: por llevar dos semanas sin llamar a mi madre, por tener que saltar toda la semana de clases en el Casal, por llevar meses prometiéndole a Bal (sin cumplir) que le haría un album con sus fotos de embarazada, por estar pagando el gimnasio sin ir, por no haber felicitado a mi hermano Mariano por su cumple (luego me acordé qué sí, qué sí!! le había mandado un email, pero ya era tarde, ya ma había sentido culpable por eso y ya no podía volver atrás)


En fin, un desastre.
Y Vanesa estaba ahi, tan morena, tan hermosa, desprendiendo tanta energía de cada milímetro de su piel, tanta luz de sus ojazos, recién llegada desde otro mundo, desde otra vida, desde otra situación - y quizás todavía un poco quedándose ahí, en aquel mundo, aquella vida, aquella situación - mundo, situación y vida a los cuales tal vez, en algun momento lejano, yo también debo haber pertenecido (pero no lo podría asegurar, ahora).
De hecho, cuando ella se fue me fui a mirar al espejo y tras larga inspección me pregunté si esa persona que veía ahi, cara pálida, expresión tensa, mirada desconfiada, fuera realmente yo. No me supe responder.


Luego ya no había tiempo para seguir analizando, me tenía que ir al aeropuerto.


Todos estos pensamientos volvieron a pasar el rato dentro de mi cabeza más tarde, en el avión, cuando mirando la oscuridad fuera de la ventanilla me di cuenta de que curiosamente mi vida se parecía mucho a la situación concreta de aquel preciso instante, en aquel vuelo entre Barcelona y Bruselas: perdida en el aire, en algún punto no mejor determinado de la atmósfera, viniendo desde un lugar en donde no sabía si quería quedarme, yendo hacia otro a donde no quería ir.






...




La mia vita è come un libro.
Un piccolo libretto consumato, passato per chissà quante mani, le pagine ingiallite, la copertina spiegazzata. Con i bordi mangiucchiati dal tempo. Con le orecchie.


Molte pagine sono state strappate via, e se ne puó chiaramente vedere il margine orfano, frastagliato, doloroso.
Altre sono gonfie e rugose e ruvide e dure, l'inchiostro trasformato in macchia, forse perchè ci è piovuta su chissà quanta pioggia, o perchè qualcuno ci ha rovesciato sopra una grossa tazza di caffè nero.
Alcune sono colorate e allegre, perchè un bambino le ha usate per disegnarci su con pennarelli indelebili: casette, cuoricini, alberi, fiori, animali.
Una o due sono ricoperte di note fitte fitte, scritte a penna blu in una calligrafia minuscola e illeggibile.


Le poche pagine che si salvano, che sono pulite, che si possono leggere tutte intere, sono troppo distanti tra loro per avere un senso, e non hanno assolutamente niente in comune l'una con l'altra.


Ed eccomi qui, dunque, con il mio libro tra le mani, che lo guardo, lo giro da un lato, lo rigiro dall'altro, lo capovolgo, lo chiudo, lo riapro. Lo guardo.


Non ho dubbi riguardo al suo valore - almeno per me, inestimabile.


È solo che non so bene che farne.