lunedì 2 febbraio 2009

Puerto Iguazú non è solo le cascate.

In realtá credo di aver goduto di piú del lato brasiliano. E so anche perchè: in Brasile ero da sola, ho camminato lungo il sentiero del parco prendendomi il mio tempo, con la calma, fermandomi ogni cinque passi ad ammirare quella massa indescrivibile d'acqua che si frantumava sulle pietre lá in basso, osservando gli animaletti e gli insetti che popolano la foresta intorno.
Al contrario, ho visitato il lato argentino in compagnia di altri viaggiatori conosciuti nell'ostello. Non c'è niente da fare, quando devo dipendere dalle necessitá, bisogni e voglie di altre persone non è lo stesso. Per questo a volte (spesso) preferisco andare in giro da sola.

Ma Puerto Iguazú aveva in serbo per me ben piú delle cascate.

Attraversare la frontiera e sentire immediatamente un'atmosfera diversa. Finalmente mi rilasso. Sono come a casa.
Dovevo restare solo un giorno, giusto il tempo di visitare il Parco Nazionale, e poi via. Uno stop a Rosario sul mio tragitto verso Buenos Aires.

Ma poi capita di conoscere persone che ti fanno decidere di fermarti ancora un po'. E tutti i piani cambiano.

Gli artigiani di Puerto Iguazú. Javier e i suoi mate creati dalla zucca, dipinti e intagliati a mano. María, che danza come una libellula facendo vorticare nastri colorati e sfere infuocate (malabares, come si chiamano in italiano? boh).
Belén che tesse braccialetti di macramé, Martín che lavora il cocco, Ximena la colombiana con le sue collane di denti di squalo raccolti nel deserto di Ocucaje, in Perú.
La mia famiglia.

E la macchina di Javier, uno splendido Ford Falcon del '75 che aveva bisogno di essere spinto ogni volta per mettersi in moto. Una meravigliosa reliquia. Ne ho fotografato ogni dettaglio.
E l'officina in cui Javi lavora le sue zucche, le intaglia, le cuoce, le perfora, le dipinge, con pazienza e maestria. Quante ore passate lá dentro, quante chiacchiere, e un mate dietro l'altro. Era casa mia, ormai.

Il mercatino degli artigiani, nella strada pedonale cosí mal ubicata: per vendere di piú bisogna rischiare e andare alla stazione dei bus. Dove una volante della polizia ti fará smontare tutto nel giro di pochi minuti, peró almeno ci hai provato.
E la sera, in piazza, percussioni e chitarra, e voci, e piedi svelti. La gente che si univa spontaneamente, attirata dalla musica.
Poi, le notti fredde, stare piú vicini per scaldarsi, su quel materasso buttato per terra, nel disordine e nella polvere. Il buio. Sentirsi bene, benissimo. Una sensazione di precarietá piena, pienamente felice.

E quell'ultimo pomeriggio, di corsa per agganciare il bus per Buenos Aires all'ultimo secondo, quando giá chiudeva le porte, e lungo il tragitto verso la stazione pensare: bueno, se lo perdo lo perdo, ya fue. Chissene, resto qui. Anche per sempre.

Cercheró di pubblicare qualche foto al piú presto.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

L'UNICA COSA CHE MI VIENE DA DIRE E'...QUANTA ENERGIA TRASMETTI TE NE RENDI CONTO? TI VOGLIO BENE PAOLA...OGNI VOLTA E' UN'EMOZIONE LEGGERTI ED IMMAGINARTI! UN BACIO GRANDE, MANU.

dora ha detto...

po, ti sei innamorata?

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